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FINO
A DOVE SI DEVE ARRIVARE NEL TRATTAMENTO DELLA ALOPECIA AREATA GRAVE?
( A cura della dott.ssa
Tiziana Di Prima)
Chi, paziente e
dermatologo, prima
o poi, nella gestione della alopecia areata grave, non si è
trovato davanti alla necessità
di decidere se portare avanti un percorso terapeutico deludente sia sotto il
profilo medico che psicologico o arrendersi all'evidenza del fallimento e
rassegnarsi? Fino a dove si deve arrivare nel trattamento della alopecia areata
grave? Questa domanda viene posta dal Prof Delaporte di Lille (Francia) a
colleghi dermatologi di lingua francese. Le risposte sono il tema di una
pubblicazione in una prestigiosa rivista francese di dermatologia; ho tradotto e
riassunto la pubblicazione per voi. Il prof. L. Schmutz di Nancy ritiene che a tutt'oggi non c'è una terapia che
abbia dato prova di efficacia certa. Questo deriverebbe dal fatto che ancora le
cause di questa malattia non sono tutte ben chiare, sebbene si siano delineate due
teorie principali: l'una di carattere immunologico e l'altra che considera un
prevalente coinvolgimento della psiche. In tema di scelte terapeutiche, al
paziente con aa (alopecia areata) grave che si presenta per la prima volta alla
sua osservazione, egli propone la PUVA-terapia (lampade ultravioletti A +
psoraleni per bocca). Sottolinea come questa scelta terapeutica sottenda il
duplice scopo di ottenere una immunosoppressione e di prendere in "carico
psicologico" il paziente. Il trattamento viene portato avanti fino al
raggiungimento della dose cumulativa (massima quantità di raggi
"assorbibili" dal paziente). A questo punto o il paziente è guarito
o, in caso di fallimento terapeutico, il legame che si è stabilito nel
frattempo permette di suggerire una psicoterapia specifica e valutata la
possibilità di indossare la parrucca. Se, per vari motivi, questa terapia non
fosse praticabile, si limita a prescrivere una terapia locale a base di
minoxidil al 2% o al 5%. Il prof Claudy di Lione puntualizza che spesso i
pazienti affetti da aa esercitano sui medici una pressione psicologica
legittima, ma causa di scelte terapeutiche discutibili. E' compito del medico
chiarire che si tratta di una malattia che non mette a rischio la vita ma dove
si ignora la cura risolutiva e dove farmaci dotati di una efficacia abbastanza
relativa e transitoria, comportano degli effetti collaterali secondari non
trascurabili. Egli sottolinea come la decisione di intraprendere una
qualsivoglia terapia (PUVA, sensibilizzazione da contatto, corticoterapia)
dovrebbe essere riservata a pazienti fortemente depressi, facile preda di
ciarlatani e di "rimedi miracolosi". Anche il prof. Beylot di Bordeaux
premette quanto sia difficile per un dermatologo la scelta terapeutica in una
patologia dove i risultati ottenuti con questo o quel trattamento non
differiscono significativamente dall'effetto placebo (si verifica quando un
paziente guarisce anche se viene trattato con una sostanza inattiva) quando
sarebbe più utile potere parlare in termini di percentuali di risultati validi
dal punto di vista cosmetico. I pazienti vanno aiutati ad accettare la malattia
quando la terapia fallisce ma, prima di arrivare a questo punto, il medico deve
essere certo di avere fatto tutto quello che è ragionevolmente possibile per
ottenere la ricrescita. Al paziente va spiegato che le terapie di volta in volta
proposte ed effettuate, in caso di fallimento o di una rapida ricaduta, non
vanno continuate per troppo tempo e talora è meglio avvalersi di uno
specialista per un supporto psicologico adeguato. Il prof. Aitken di Versailles,
parte dalla considerazione che in un epoca dove il sembrare diventa sempre più
importante, l'essere affetti da una patologia visibile può essere gravemente
perturbante le relazioni sociali. La sofferenza psichica che ne deriva viene, a
suo avviso, sottovalutata dai medici, forse incosciamente convinti che una
sofferenza psicologica sia meno "dolorosa" di una sofferenza organica
tipo, ad esempio, la frattura di una gamba. Egli passa in rassegna le varie
tappe terapeutiche classicamente seguite nelle pratica clinica, dalle più
"leggere" (corticosteroidi topici, gel rubefacenti, crioterapia)
attraverso la tappa intermedia delle infiltrazioni di corticosteroidi fino
all'immunoterapia, PUVA terapia, corticosteroidi sistemici. Di tutte sottolinea
i limiti in termini di efficacia e gli effetti collaterali. Conclude con una
rivalutazione della corticoterapia generale tanto in voga negli anni 70 e poi
abbandonata che, a suo avviso, potrebbe trovare una giusta indicazione in
pazienti giovani ed in buone condizioni di salute. "Questa domanda
ossessiona il dermatologo soprattutto quando si occupa dello studio della
alopecia areata grave" così esordisce il prof. Y de Prost di Parigi. Egli
si dichiara un sostenitore delle teorie immunologiche e spiega come i suoi
collaboratori stiano studiando in questa direzione. Aggiunge che pubblicazioni
serie che riguardano la terapia, raramente riportano risultati positivi
superiori al 30% e che farmaci efficaci in teoria, hanno fallito nella pratica (ciclosporina).
Da queste premesse emerge la necessità di andare avanti con protocolli
terapeutici che stabiliscano a livello internazionale i criteri di inclusione e
di valutazione dei risultati ottenuti. In mancanza a tutt'oggi di terapie
standard di riferimento, è necessario che gli studi vengano condotti con
l'impiego del placebo. "guarire è la prima missione del medico" dice
l'Autore " ma se non ci riusciamo, lo scopo principale è dare
conforto". In quest'ottica egli ritiene che, anche in caso di insuccesso,
va comunque prescritta una terapia perché
talvolta anche l'effetto placebo è importante ed efficace. Asciutta e
circostanziata la risposta del prof. Saurat di Ginevra, che spiega il loro
protocollo terapeutico a base di boli di metilprednisolone. La loro esperienza
ha permesso di definire i criteri di inclusione e le percentuali di successo del
trattamento. Egli ritiene inoltre che è compito del medico gestire l'ansietà
dei pazienti e la propria. "Più che di gravità, sarebbe meglio esprimersi
in termini di estensione" dice il prof. Labeille di Valenza, che definisce
grave una forma che interessi più della metà del cuoio capelluto e che dati da
almeno un anno. Davanti a questa tipologia di paziente è lecito mettere in
opera tutti i trattamenti possibili. Poiché
nessun farmaco offre una reale garanzia di successo, egli spiega la sua
progressione terapeutica. Inizia con l'impiego locale di corticosteroidi, o di
ditranolo, o di minoxidil 5%, o di diphenciprone. Poi passa alla PUVA terapia
estesa a tutto il corpo o eventualmente alla corticoterapia generale di breve
durata alternata ad un trattamento locale. Fino a quando andare avanti? Ogni
terapia va portata avanti per tre
mesi prima di decretarne il fallimento e passare alla successiva. In caso di
successo, si va avanti senza limiti nel caso di terapie locali; nella PUVA
terapia, il limite coincide con la quantità totale di joule; la corticoteralia
sistemica solo per qualche settimana. Nei pazienti con alopecia refrattaria a
tutti i trattamenti o con grave coinvolgimento psichico, va proposta una
psicoterapia specifica. Nella nota conclusiva il prof. Delaporte, proponente la
domanda, sottolinea che non era sua intenzione definire quale fosse la buona
pratica clinica nelle alopecie areati gravi, ne tanto meno portare ad un
giudizio di valore su questo o quel trattamento. I differenti commenti dei vari
autori testimoniano l'esistenza di più punti di vista sullo stesso argomento,
sebbene tutti siano concordi sulla difficoltà della presa in carico di questo
particolare tipo di paziente. Il dermatologo deve essere certo di avere fatto
tutto ciò che è ragionevolmente possibile per ottenere una risposta; questo
naturalmente implica la conoscenza delle terapie eseguibili e dei loro limiti e
della capacità di non superarli
in risposta all'angoscia del paziente.
ALOPECIA
AREATA: TERAPIE "ALTERNATIVE"
Dal punto di vista scientifico sono state
proposte varie ipotesi di eziologie per l'alopecia areata quali la
predisposizione genetica, l'atopia, una reazione autoimmunitaria e lo stress
emotivo. La credenza popolare, a sua volta, interpreta questa malattia piuttosto
di frequente come espressione di “nervosismo”, la conseguenza di un
ma-locchio, come segno di vermi intestinali (o di contagio da pettine infetto
dal parrucchiere), come risposta al contatto con acqua ghiacciata ed infine come
segno di pazzia. Numerose sono state le terapie mediche proposte e provate per
la cura dell'alopecia areata, la quale talvolta tende a risolversi
spontaneamente. Qui ci fermeremo a parlare di alcune terapie e rimedi popolari.
Nell'Africa settentrionale ed in Sud Italia vengono praticate delle incisioni
superficiali a mo' di lisca di pesce lungo la zona alopecica ed indi applicato
una volta ogni 10 giorni per 3-4 volte un composto oleoso di varie erbe tra cui
il rosmarino, la salvia, il basilico e la lavanda. L’aromaterapia prevede
l'utilizzo degli olii essenziali delle erbe prima accennate e ne aggiunge
l'achillea, il bay, il cedro, l'eucaliptus, l'arancio, il geranio, il sandalo ed
infine il legno di rosa. In erboristeria si consiglia l'assunzione di tavolette
che contengono colina, inositolo, calcio pantotenato, acido pararninobenzoico,
niacina, zinco, fluoro, molibdeno, manganese, magnesio e vitamina C associata a
shampoo «rinforzanti». In Tailandia vi é largo uso di piante medicinali e per
le malattie cutanee vengono adoperati il rhinacanthus nasutus Kurz della
famiglia Acanthaceae e la stemona tuberosa Luor della famiglia delle Stemonaceae.
L'omeopatia suggerisce il calcium phosphoricum (Sc 5) e la sicilea (react 2)
insieme a shampoo quotidiani e l'applicazione di una lozione iperemizzante. Da
secoli i Calabresi come rimedio casalingo utilizzano un concentrato oleoso di
peperoncino. Diversamente, in Puglia, a secondo della località, si propongono
pennellature di tintura di «spaccapietra», una pianta selvatica, strofinazioni
con aglio crudo sulla zona alopecica o infine impacchi sulla chiazza con polvere
di paglia bruciata. La psicoterapia prevede tecniche di rilassamento, massaggi
del cuoio capelluto ed ipnoterapia. I chirurghi qualche volta intervengono con i
trapianti dì capelli (autoinnesti). Nella medicina tradizionale cinese si
ricorre alla stimolazione agopunturistica dei punti «shu» (V 15, V 17, V 18, V
20, V 23 e V 25>. Irradiando (radioterapia) le zone paravertebrali dorsali si
é osservata la ricrescita di capelli nelle chiazze alopeciche, anche l'elettrotricogenesi
e stata applicata in casi di alopecia areata talvolta con risultati positivi.
Per chi crede nella teoria del malocchio si consiglia rivolgersi ad una
fattucchiera esperta.
dr.ssa Justina Claudatus-BARI (jucla@libero.it)
AGGIORNAMENTO
SULL'AROMATERAPIA
Nel 1998 un gruppo di ricercatori scozzesi ha trattato 86 pazienti
affetti da Alopecia Areata di vario grado con una miscela di olii essenziali
ottenendo qualche risultato di ricrescita nel 44% dei casi, contro il 15% dei
pazienti che utilizzavano come placebo il solvente (olii di vinacciolo e jojoba).La
composizione della miscela è la seguente: due gocce di Thymus vulgaris, tre
gocce di olio essenziale di Lavandula Angustifolia, tre gocce di Rosmarinus
Officinalis, due gocce di Cedrus Atlantica, solubilizzate in 3 ml di olio di
jojoba, più 20 ml di olio di semi di vinacciolo. I pazienti frizionavano il
cuoio capelluto con questa miscela per almeno due minuti e poi si coprivano il
capo con una salvietta calda per almeno un'ora.Il trattamento è durato sette
mesi. Gli Autori concludono che l'aromaterapia è un efficace e sicuro
trattamento per l'Alopecia Areata (Hay IC, Jamieson M, Ormerod AD.
Randomized trial of aromatherapy. Successful treatment for alopecia
areata.
Arch Dermatol 1998 Nov; 134(11); 1349-52). Il
sottoscritto si è fatto una certa esperienza clinica di questo tipo di
trattamento e crede di poterne trarre le seguenti conclusioni: a) il trattamento
sembra essere attivo, particolarmente nelle stagioni calde (forse per un
migliore assorbimento) b) nelle forme molto gravi la percentuali di successo
scendono drasticamente (cosa del resto valida per tutte le altre terapie) c) gli
effetti collaterali finora riscontrati si limitano a modeste follicoliti. La mia
personale conclusione è che la terapia valga senz'altro la pena di essere
tentata, anche per il suo basso costo.
Dr
Roberto d'Ovidio
(robdovi@tin.it)
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